I sincacati sono i promotori della giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni. La lotta per i diritti è un normale adoperarsi per il giusto bene; non è una lotta contro gli altri(cfr. Giovanni Paolo II Laborem Exercens, 20)
I sindacati sono promotori della lotta per la giustizia sociale!


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Figli di un dio minore... : a cura di M. Pompei.
Lockdown e disagio giovanile: gli hikikomori a cura di L. Buffo
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IN QUESTO NUMERO
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Anno II - n. 6-7-8 - giugno-luglio-agosto 2021 Pubblicato su www.magglance.com/uilscuolairc
DIRETTORE Giuseppe Favilla REDATTORE CAPOMonica Bergamaschi REDAZIONEPaolo Bellintani (1°redattore)Monica Bergamaschi Diletta De LaurentiisGiuseppe Esposito Giuseppe Favilla Marcello GiulianoPasquale Nascenti Mariella Pompei Salvatore RaspaAndrea Robert Elena Santagostini Francesco Sica Riccardo Sciannimanico Antonio Vitale Hanno collaborato Leonardo Buffo e Giorgio Marcobelli
GFEDITING2021
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L’insegnamento della religione nella scuola degli anni del Concilio Vaticano II: a cura di P. Nascenti
Un linguaggio comune nonostante gii ostacoli a cura di A. Robert
Copertina di Umberto Gamba


EDITORIALE
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IL DISAGIO GIOVANILEdi Francesco Sica*
Il disagio giovanile attraverso tre film senza tempo a cura di R. Sciannimanico
Intrecci di vita e radici del disagio a cura di M. Giuliano
Un anno... tra desideri e progetti: agorà irc e uil scuola irc a cura di G. Favilla
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Apriamo questo numero dedicato al disagio giovanile con un’intervista a Domenico Luongo, terapista esperto di dipendenze e recupero. Cosa può o non può fare un docente in presenza di segni, da parte degli alunni, che potrebbero indicare l’inizio di una dipendenza? Questa è una domanda che ogni docente, nella suo percorso scolastico, si è posto molte volte. Spesso non ci riteniamo all’altezza di decriptare questi segnali, talvolta a giusta ragione. Altre volte, invece, ci troviamo di fronte ai muri che alzano le famiglie preferendo negare il problema. La domanda da farsi, allora, è: cosa si intende per dipendenza e quali sono i segnali che l’accompagnano? Lo chiediamo a Domenico, counseling esistenziale, responsabile del gruppo “alcolisti e tossicodipendenti Ser.d. di Pomigliano, nonché terapista familiare. “Quando si parlava di dipendenze 30 anni fa si parlava di cocaina e di eroina. Oggi quando si parla di dipendenze si apre un mondo infinito, in cui oggi stiamo conoscendo sempre più quella legata al mondo del web (pornografia e ludopatia). Un nuovo fenomeno inoltre. che già stava crescendo, originario del Giappone, ma che in questo periodo è esploso ovunque a motivo della quarantena, è quello degli Hikikomori”*Referente Territoriale UIL Scuola IRC Monza Brianza
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Prevenzione al bullismo e cyberbullismo  intervista al prof. Gino Fanelli, fondatore della Onlus Helpis. a cura di E. Santagostini  
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linguaggio comune, così come nello stile di vita di ogni persona. Tutti, ognuno a proprio modo, abbiamo dovuto fare i conti con una realtà che si imponeva come minacciosa, soprattutto per gli anziani, la categoria più colpita nella prima ondata pandemica. Attraverso altre successive determinazioni di legge (decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, articolo 1, comma 2, lettera p e Legge 6 giugno 2020, n. 41, all’articolo 2, comma 3), la didattica a distanza, per lunghi mesi, è diventata l’unica modalità possibile per continuare a “fare scuola”. Un anno di riflessioni, studi, dibattiti, posizioni sindacali di vario genere, hanno accompagnato quel modo di insegnare da casa o da scuola che vede la presenza a distanza o la distanza in presenza del 50% o 100% degli studenti della classe o della scuola. Un enigma senza soluzioni nette, quello che si chiede se la didattica a distanza sia una vera didattica che si possa, in stato di emergenza, sostituire alla didattica tradizionale; se la didattica a distanza possa essere integrata con quella in presenza e dunque diventare didattica digitale integrata. La Didattica a Distanza e la Didattica Digitale integrata chiedono di essere considerate e valutate come una nuova possibilità di didattica. A parere di chi scrive, né l’una né l’altra si possono però, configurare come nuova metodologia per l’apprendimento dei saperi e per lo sviluppo delle competenze e soprattutto possono risultare non sempre utili per lo sviluppo cognitivo e il rafforzamento delle conoscenze di base nelle bambine e nei bambini. Un’affermazione, la mia, che desterà non poche prese di posizione contro e a favore, ma rappresenta quanto, da un anno ormai, attraverso diversi spunti e riflessioni, credo di poter difendere e giustificare: la didattica a distanza e le sue nuove formulazioni, rappresentano solamente una modalità di insegnamento emergenziale e che dovrà essere collocata a riposo una volta terminata la crisi pandemica. Insegnare, come ha affermato, in uno dei sui studi, Massimo Recalcati, noto studioso e psicanalista, è altra cosa, cosa diversa dalla didattica a distanza. Le ore di lezione a scuola portano con sé avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. In una recente intervista ad Orizzonte Scuola, Recalcati ha affermato: “Non c’è dubbio che la vita della scuola implica i corpi, l’esistenza di una comunità in presenza. Ed è indubbio che la DAD sia stata una faticosissima supplenza all’impossibilità dell’incontro in presenza”, malgrado ciò, è innegabile, la didattica a distanza è stato strumento prezioso per una volontà precisa che non si arrende davanti all’imprevisto. La didattica digitale integrata, a cui nello scorso mese di luglio, attraverso le linee guida, è stata data un’anima pseudo pedagogica, non può sostituire la valenza di un incontro, di uno sguardo, di una relazione empatica tra docente e studente che lasciano sempre un segno nella formazione e nella crescita della persona, ma ha avuto il merito di mostrare il volto di una comunità educante che non si lascia fermare e che accetta la sfida e si offre come esempio concreto. Le linee guida citate definiscono la didattica digitale integrata, intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, e ne estendono il valore, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola. La didattica digitale integrata, prevede anche una presenza fisica degli studenti in classe, in una percentuale minima/massima del 50%; si tratta dunque di una successiva rimodulazione dell’insegnamento che richiede che “La progettazione della didattica in modalità digitale tenga conto del contesto e assicurare la sostenibilità delle attività proposte e un generale livello di inclusività, evitando che i contenuti e le metodologie siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Ci siamo trovati in poco tempo nel totale stravolgimento di tutte le teorie di apprendimento, mutuando sic et simpliciter quanto sviluppato negli ultimi anni dalle Università Telematiche in qualche cosa di ordinario e continuativo nel tempo.
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Cosa caratterizza una dipendenza? “Prima che le famiglie scoprano una dipendenza, soprattutto quando non c’è una sostanza di mezzo (come per la tossicodipendenza o l’alcolismo), passa tanto tempo, perché la si confonde con un periodo difficile o di depressione, senza sapere che la dipendenza sta mettendo le sue radici, e sradicarla diventa difficile e doloroso. Il ragazzo, probabilmente, invece è già in un disturbo del comportamento molto serio. In molti casi, è stato affermato in letteratura che, uno dei segni più comuni è il deficit dell’attenzione. Altra cosa che può essere un campanello d’allarme è il tempo, materialmente una dipendenza richiede un tempo da dedicare. Quando questo toglie tempo ad altro, che nell’equilibrio dell’esperienza vitale risulta prioritario (lavoro, affetti, hobbies), si cade nella dipendenza. Anche il linguaggio del corpo può essere un segnale: un ragazzo che ha sempre assunto una posizione composta, rivolta verso il docente, dialogante, che passa ad una di rottura, svogliata e menefreghista, può essere in una fase di dipendenza. Anche la percezione umorale può essere un segnale. Bisogna fare attenzione, il cambio umorale è tipico degli adolescenti, ma se esso diviene particolarmente importante è bene monitorare la situazione. L’insieme di più segnali o fattori può far scattare un campanello. I segnali però variano da ragazzo a ragazzo, da sostanza a sostanza.” Cosa si può fare nel momento in cui si scorgono questi segnali? “La cosa importante è fare rete, confrontare più persone possibili nel disagio del giovane. Se parliamo di scuole, bisogna spingere ancora di più per ottenere in ognuna di esse uno sportello di ascolto anonimo. Con la didattica a distanza questo è diventato quasi impossibile. La rete della collaborazione si è tramutata nella rete del web. Lasciare una porta aperta però è fondamentale anche per le famiglie, che talvolta non sanno nemmeno a chi rivolgersi. Oggi sarebbe necessario che ogni scuola avesse il suo consulente, per avere anche la forza di non piegarsi alle diagnosi più disparate, per il bene di tutti. Ma c’è anche da dire che un segno non fa una dipendenza, quindi occorrerebbe che gli insegnanti facessero formazione al riguardo, per tutelare se stessi innanzitutto. L’accompagnamento è fondamentale, se non si conosce realmente chi hai di fronte, non puoi riconoscere il malessere e la dipendenza. Non poter mettere le mani in pasta è frustrante per gli operatori e per i docenti. La verità è che non c’è una formula reale ed unica, sta molto nell’intelligenza emotiva dell’operatore capire cosa fare. Imparare a guardare emotivamente un ragazzo è una cosa difficile.” Nel caso in cui vi siano evidenze molto probanti, cosa bisogna assolutamente fare? “Accompagnare la famiglia. Questo è un compito delicatissimo. Ci sono famiglie che aspettano solo un segnale per avere il coraggio o la forza di affrontare il problema e dargli un nome. Vi sono altre che invece negano fino allo stremo, anche contro il benessere del proprio figlio, perché recepiscono questo come un fallimento. Difatti occorre che ogni istituto abbia il suo esperto. In questi casi, molto è deciso dalla prevenzione: le giornate “contro” non


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servono a tanto, serve dialogare e preparare, riconoscere, e a questi “eventi/esperienze” dovrebbero partecipare le famiglie e gli stessi docenti. Bisognerebbe farlo tutti insieme, perché siamo tutti attori dell’azione educativa. Sono anni che faccio questo nelle scuole, con i ragazzi, ma resta sempre un pezzo estraneo e mai coinvolto.” Ci sono delle dinamiche da poter proporre in un gruppo classe in questi casi? “Creare un percorso di riscoperta delle emozioni, che dia voce alle stesse e che aiuti i giovani a dare un nome al sentire interiore. Cosa è questo che sento? Cosa significa questa cosa per me adesso, qui ed ora? Un percorso che risponda a queste domande irrisolte, a cui si dà risposta tramite le dipendenze” Dopo questo periodo quali sono le problematiche che riscontri? “Da sempre il riconoscimento delle proprie emozioni. All’inizio chi soffriva di depressione e attacchi di panico, si sentivano meglio: il fatto che tutto il mondo fosse in casa e non solo loro, ha normalizzato il loro sentire. Questo è stato un effetto immediato molto comune alle persone affette da dipendenza in generale. Certo è che gli effetti definitivi li capiremo nel tempo. In alcune famiglie, per esempio, si è parlato di più, è cresciuta nelle stesse la condivisione della spiritualità. Questi sono anche fenomeni positivi, che non vanno disprezzati.” Ci sono dei riferimenti, testi, blog che puoi suggerirci per attingere conoscenza in materia e nel caso trovare delle risposte? “Innanzitutto il testo Intelligenza Emotiva di Daniel Golemann. Un testo dove la persona che legge con uno stato d’animo attento e profondo potrebbe iniziare a capire qual è l’approccio per confrontarsi con l’umano e le sue problematiche.                                                                                                                        ALANON è il sito dei familiari degli alcolisti, può servire a conoscere la realtà a partire dalla voce di chi l’ha vissuta sulla propria pelle e non solo sui manuali. Questa stessa associazione ha creato il percorso dei dodici passi per la crescita emotiva, infatti di questi dodici passi solo il primo parla di sostanza.                                                              Kairos al momento giusto è una pagina da me gestita in cui si possono trovare piccoli spunti, ma anche fare domande o chiedere aiuto”
UMBERTO GAMBA“...partendo da un quanto mai valido e qualificato programma figurativo, è pervenuto ad una propria personale espressione, nell’interesse per le vicende quotidiane dell’uomo e del divino. Per cui in ogni suo lavoro si evidenzia un modulo narrativo chiaro e leggibile, dove la dimensione del suo linguaggio, anche trasfigurando le visioni, le rende palpitanti e colme di un sentimento di spirituale armonia…” Si dedica all'attività pittorica dal 1977 presentando numerose mostre personali (alcune tra le più importanti a Milano, Assisi, Bergamo, Trento, Bari, Bologna, Clusone (Bg), Castione (Bg), Martinengo (Bg)…) e partecipando, con successi e riconoscimenti, a molte collettive e concorsi in Italia e all’estero. www.umbertogamba.it GRAZIE AL COLLEGA UMBERTO DA TUTTA LA REDAZIONE PER AVERCI FATTO DONO DELLA COPERTINA DI QUESTO  NUMERO


I grandi cambiamenti che segnarono l’inizio degli anni Sessanta, tra i quali l’espansione demografica che comportò una riduzione lenta e graduale della piaga dell’analfabetismo (molti ricorderanno “Non è mai troppo tardi”, la celebre trasmissione televisiva con il maestro Alberto Manzi), furono legati anche al mondo della scuola. L’immutabilità della disciplina dell’insegnamento della religione continuava a far discutere. Venivano evidenziati come estremamente problematici il difetto d’impostazione contenutistica e metodologica, l’inadeguatezza di alcuni docenti ma anche l’insensibilità verso le trasformazioni sociali, il mutamento dei costumi, l’incidenza dei mezzi di comunicazione di massa. All’inizio degli anni Sessanta la rivista “Il Regno” promosse un’indagine sullo stato dell’insegnamento della religione nelle scuole italiane. Ne uscì un quadro inclemente: la disciplina influiva poco sul grado di conoscenza della dottrina cattolica; la figura del professore-catechista non sempre presentava armonia delle parti ma era spesso sbilanciata a favore dell’aspetto proselitistico; bisognava interrogarsi seriamente sul metodo didattico da preferirsi perché quello apologetico non era più adeguato. Insomma: una fotografia realistica con poche luci e molte zone d’ombra. Lo statuto concordatario su cui era fondato l’insegnamento della religione manifestava, con il passare degli anni e in modo sempre più evidente, le sue intrinseche ambiguità. La necessità di un coordinamento nazionale che potesse dare nuove linee guida portò nel 1961 all’istituzione dell’Ufficio Catechistico Nazionale in seno alla Conferenza Episcopale Italiana. Messosi all’opera, l’Ufficio affrontò anche le questioni relative all’insegnamento della religione, ritenendo della massima urgenza la revisione dei programmi di insegnamento e la preparazione dei docenti incaricati. All'inizio del decennio, un’importante novità: l’istituzione della nuova scuola media unica, approvata con L. 1859 del 31 dicembre 1962. Apparve in essa la volontà effettiva di rifiutare la precedente divisione classista, fra gli allievi avviati al lavoro e gli allievi avviati agli studi, e di offrire a tutti la possibilità di proseguire fino ai gradi più alti dell’istruzione, dando sostanzialmente la stessa preparazione di base, intesa non tanto come istruzione, quanto come formazione dell’uomo e del cittadino, secondo i principi costituzionali. Tra le discipline previste c’era, al primo posto, l’insegnamento della religione. Tra i programmi definiti dal D.M. del 24 aprile 1963 veniva ribadito che “l’insegnamento della religione contribuisce in modo eminente all’armonico e completo sviluppo dell’alunno, presentandogli in termini concreti la vita di fede e di grazia e guidandolo a operare, nell’esistenza di ogni giorno, in vista di questo ideale soprannaturale. […] Più che di una serie di nozioni da trasmettere con rigida sistematicità, l’insegnante si preoccupi di far vivere i valori religiosi, suscitando l’attiva collaborazione dell’alunno alla formazione della propria personalità”. Una novità ancora più grande fu il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), un evento storico e profetico per la Chiesa e l’umanità intera.
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L’insegnamento della religione nella scuola degli anni del Concilio Vaticano II. di PASQUALE NASCENTI
docente nella Scuola Primaria


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È impossibile in questa sede affrontarne tutti gli aspetti ma va senza dubbio rilevato che esso contribuì a iniettare nuova linfa anche al mondo dell’educazione. A questo riguardo la Dichiarazione Gravissimum educationis del 28 ottobre 1965 supportava l’esigenza di assicurare l’istruzione religiosa in ogni programma scolastico che avesse a cuore la formazione integrale degli alunni. L’apertura al mondo contemporaneo e alla libertà religiosa trasparivano anche nel pensiero dedicato alla scuola: “La Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie”.

Durante la prima fase del post-Concilio, venivano pubblicati i nuovi Programmi per l’insegnamento della religione nella scuola secondaria superiore (D.P.R. n. 756 del 30 giugno 1967). Nelle “Avvertenze generali” si osservava che l’insegnamento mirava alla formazione e alla maturazione cristiana dei giovani, volendo con ciò contribuire allo sviluppo dell’alunno, nel rispetto delle esigenze personali proprie della sua età. L’articolazione dei contenuti proponeva come tema generale per il biennio ’Il mistero di Cristo e della sua Chiesa’, per il triennio successivo ’La vita dell’uomo in Cristo e nella Chiesa’, con l’invito ad approfondire, nell’ultimo anno, ’La presenza del cristiano nel mondo’. Nell’articolazione interna dei programmi si coglieva lo sforzo di saldare la dottrina cattolica, riletta alla luce del Concilio, con gli obiettivi culturali ed educativi propri della scuola. L’intento, pur nell’immutata cornice concordataria, era quello di ’aggiornare’ l’insegnamento della religione, per integrarlo meglio nel progetto formativo della secondaria superiore e renderlo più aperto alle esigenze degli studenti. In questa linea appariva apprezzabile anche l’invito a curare il ’piano didattico’ in rispondenza alla natura e alle mete proprie di ciascun tipo di scuola.

I nuovi programmi, però, non consentirono all’ora di religione lo slancio auspicato dal Concilio perché risultava ormai logoro il presupposto concordatario che la legittimava. La contestazione studentesca, di lì a breve abbattutasi sulla scuola, avrebbe reso velleitario ogni volenteroso tentativo di rinnovare l’insegnamento, lasciandone comunque intatto il quadro giuridico.

Le manifestazioni degli studenti toccarono l’apice nel momento in cui nasceva la scuola materna statale (L. n. 444 del 18 marzo 1968) con i relativi Orientamenti dell’attività educativa (D.P.R. n. 647 del 10 settembre 1969) che affrontavano anche l’educazione religiosa. Essa soddisfa “il desiderio di attingere un sentimento di legame universale con le cose e le persone [...] sulla base di una concezione spirituale, serena e unitaria del mondo e della vita”, è un aspetto irrinunciabile dell’educazione del bambino, ne consente il pieno ed armonico sviluppo della personalità e l’affinamento del senso morale; si sottolineavano gli aspetti universali della religiosità e insieme quelli specifici delle varie forme religiose ma anche quelli propri degli orientamenti non religiosi, educando ad un rispetto profondo di tutte le posizioni. È significativo rilevare che tale educazione religiosa fu proposta non specificamente in maniera confessionale, quanto a sviluppare i rapporti di fraternità e l’apertura alla visione di una realtà trascendente.

Nel febbraio del 1970 veniva pubblicato Il rinnovamento della catechesi, sintesi ordinata di principi teologico-pastorali ispirati al Vaticano II e al magistero della Chiesa. Diversi i temi trattati, tra questi anche ciò che riguardava la catechesi nelle strutture della società civile. Pur non essendo ancora chiaramente affermata la distinzione fra catechesi e insegnamento 



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religioso scolastico, si afferma, innovando rispetto alla dottrina tradizionale che insisteva sul diritto-dovere preminente della Chiesa e della famiglia rispetto a quello ’sussidiario’ dello Stato, che “la scuola fa parte propriamente delle strutture civili, anche quando essa è organizzata dalle diocesi o da istituti religiosi”. Si afferma poi che “nella scuola, la catechesi deve caratterizzarsi in riferimento alle mete e ai metodi propri di una struttura scolastica moderna” e che il messaggio “va presentato con serietà e critica e con rispetto delle diverse situazioni spirituali degli alunni”, curando “il confronto con le diverse culture” e favorendo “la partecipazione degli alunni alla ricerca della verità, sviluppando la loro capacità di giudizio, invitandoli al dialogo e al confronto con la vita”. Si gettavano i semi per una riflessione molto prolifica per gli anni a venire, la quale avrebbe suscitato non pochi dibattiti in ambito ecclesiale e culturale. A partire dalla sempre maggiore inconciliabilità del fondamento concordatario dell’insegnamento della religione con i principi costituzionali di laicità e con le aperture verso il dialogo con il mondo contemporaneo auspicate dal Vaticano II, si facevano strada diverse ipotesi di rinnovamento o di trasformazione dell’insegnamento religioso. Un corso confessionale ma rispettoso per le convinzioni religiose altrui? Un corso di natura non confessionale, con approccio scientifico-culturale al fatto religioso? Non si trattava soltanto della natura dell’insegnamento della religione, si trattava di delineare se e in che modo tale corso avrebbe potuto essere espressione della Chiesa e quali rapporti avrebbe avuto con le finalità della scuola. Maggiore quantità di riflessioni ai fini di una risposta completa si sarebbe avuta soltanto nel decennio successivo. La direzione intrapresa sembrava mettere ormai da parte la ristrettezza culturale che per lunghi decenni aveva chiuso l’insegnamento religioso nella morsa di un profilo dogmatico-catechistico, ormai palesemente inadatto, specialmente alla scuola superiore. In altre parole: era giunto il momento di rivedere il Concordato.


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Figli di un dio minore...di MARIELLA POMPEIdocente nella Scuola Secondario di Primo Grado
Spesso quando si parla di disagi giovanili, si pensa a problemi familiari, a degli screzi con i genitori, a problemi con alcool, stupefacenti, omofobia, tutti problemi seri che meriterebbero un trattato per ciascun disagio, ma poco si parla del disagio che vivono ragazzi italiani, ma di origine straniera, per nascita o per appartenenza a delle famiglie che non sono nativi italiani, o ancora di giovani che malgrado siano nati in Italia, o anche se nati altrove, sono stati poi adottati in Italia, per cui a pieno titolo possono considerarsi giuridicamente italiani. Ma se guardiamo da un punto di vista socio-culturale, non sempre la vita è così facile per loro. Per esperienza, devo dire che questi problemi sorgono di più nella fase adolescenziale, perché quando i bambini sono all’Infanzia o alla Primaria, i bambini non fanno alcuna differenza, quando giocano non si accorgono neanche del colore della pelle, quella differenza loro neanche la percepiscono, sono i più grandi che iniziano a fare queste prime discriminazioni e spesso è dovuto ad un’influenza nel contesto in cui vivono, che non è di certo la scuola, attenta a sensibilizzare attraverso una miriade di progetti che mirano alle varie forme di accoglienza e inclusione.
Il 6 settembre del 2020 veniva pubblicata questa triste notizia, Willy Monteiro Duarte, ventunenne italiano di origini capoverdiane che abitava a Paliano, nel frusinate, è morto per le botte ricevute in strada per aver difeso un amico, in gioco anche l’aggravante del movente razziale, così riportano diverse testate giornalistiche dell’accaduto. Il 5 giugno del 2021, si toglie la vita a soli 20 anni, Seid Visin, nel 2018 aveva scritto una lettera e postata sul web il clima di razzismo che sentiva addosso, anche se in questi giorni sono stati intervistati i genitori e più volte hanno dichiarato che il suicido di Seid non c’entra nulla con il razzismo. Seid Visin era nato in Etiopia ed era stato adottato in Italia da piccolo, a sette anni, a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno. A sentire la testimonianza della mamma di Seid, il suo disagio inizia con il Lockdown, 


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
ma le sue azioni, il suo volontariato, le sue attività erano rivolte ad un mondo senza discriminazioni, senza distinzioni sociali, anche nel mondo della scuola il suo interesse ai diritti umani è molto presente, tant’è vero che gli studi che stava facendo erano proprio in giurisprudenza. Questo significa, in base a quanto hanno rilasciato i genitori, che sebbene Seid non parlasse di sé, tuttavia parlava a nome di tanti altri ragazzi che vivevano un disagio per il colore della pelle, per essere arrivati in Italia per trovare una casa, un conforto, una carezza, un aiuto concreto e la sua strada era orientata verso gli altri, perché riconosceva che questi altri andavano aiutati, ma forse anche lui avrebbe dovuto essere aiutato.             A fine maggio del 2021, ai notiziari si annuncia la scomparsa di Saman Abbas, una ragazza 18enne pakistana, costretta dai genitori a sposare un cugino nel Pakistan, contro il suo volere, la famiglia allora decide che è meglio ucciderla. È chiaro che tutto è ancora nelle mani degli inquirenti, almeno fino a quando non si troverà il cadavere della giovane, in base al racconto e alla testimonianza del fratello 16enne.             Ebbene, questi sono solo tre casi di tanti altri casi avvenuti nel tempo, diversi tra loro, ma tutti e tre i casi hanno un denominatore comune, sono giovani ai quali sono stati lesi alcuni diritti fondamentali della persona, la libertà, l’istruzione, libertà di espressione, il diritto di amare chi si vuole, il diritto alla vita, ultimo della lista, ma il principale diritto per ogni essere umano. Willy, ucciso perché aveva difeso poco prima un amico, ma anche il colore della sua pelle è stato determinante per una violenza così accanita, crudele, una ferocia che non ci sono parole che possano giustificare un simile gesto.             Seid, nessuno materialmente lo ha ucciso, ma quella lettera scritta sul web, anche se scritta nel 2018, non lascia molti dubbi, molti hanno concorso a questo destino. Il fatto che lui fosse di colore era come se portasse un marchio, mai sarebbe stato per alcuni un italiano, eppure giuridicamente lo era. Seid, ma potrebbe essere un altro ragazzo o ragazza, era stato adottato, per cui per legge era diventato un cittadino italiano, ma per molti, quel colore della pelle, non lascia scampo. Mi sono chiesta più volte, come si saranno sentite quelle persone che avevano rifiutato di essere serviti al tavolo da lui, o quelle persone che gli hanno detto che con il suo lavoro, toglieva lavoro agli italiani? Ma davvero siamo arrivati a tanta cattiveria? Eppure, abbiamo vissuto un periodo così triste, a detta degli anziani, nemmeno la Seconda Guerra Mondiale è stata così triste come questa pandemia. L’aver vissuto isolati, senza abbracci, senza i sorrisi attorno ad una tavola, senza le visite a parenti e amici, aver perso delle persone care senza poter dare loro l’ultimo saluto, essere entrati in terapie intensive ed essere oggi vivi, beh pensavo che ne saremmo usciti da tutto questo come persone migliori. Invece, tutti pronti ad attaccare tutti, anche chi dovrebbe essere confortato, accolto, abbracciato, anche solo con uno sguardo, con una parola.             Lasciare andare Saman da sola in una casa, dove lei temeva che le potesse accadere qualcosa di brutto non è stato proteggerla, è come se si lasciasse andare a prendere dei vestiti a una donna in una casa dove c’è il marito violento, stessa cosa, ma con modalità e dinamiche diverse, ma con la stessa paura e lo stesso rischio di finire ammazzati. Fin qui penso che abbiate seguito tutti, e tutto ciò mi è servito per introdurvi in quel disagio che all’inizio ho scritto, non si parla quasi mai. E in questa parte entriamo un po' in punta di piedi noi insegnanti “Fuori Sede”, chi meglio di noi può capire lo stato d’animo di questi giovani? A volte ti arrivano certe espressioni che avresti preferito non aver sentito. È pur vero, che mentre noi siamo adulti e siamo forti, o almeno la maggior parte cerca di resistere, il giovane non sempre ha questa resilienza,  non sempre 


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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
ha il coraggio di saper guardare oltre gli sguardi indiscreti e calunniosi, a saper dominare il proprio stato d’animo, a superare certi momenti difficili, e molte volte si arrende. I giovani che appartengono a famiglie straniere, spesse volte vivono delle crisi di identità territoriale. Un giovane o una giovane che appartengono a delle famiglie straniere, stabilite in Italia, alcune ben inserite, altre, invece, come la famiglia di Saman, che non riescono ad inserirsi per le loro radici culturali troppo ancorate a delle tradizioni religiosi ed etiche che non trovano spazio per altre culture, e questo diventa un vero problema per i giovani. I giovani, che vivono in un contesto Occidentale, è chiaro che assimileranno un atteggiamento, uno stile di vita, un modus vivendi, una forma di pensiero Occidentale. Ma cosa avviene? Molti di questi giovani, sono considerati stranieri agli occhi dei loro coetanei nel posto in cui vivono, per fortuna non in tutti i contesti, abbiamo anche delle situazioni esemplari di accoglienza e inclusione. Ma questi giovani, oltre ad essere considerati stranieri nel Paese in cui vivono, in cui studiano, in cui si dovrebbero relazionare con i pari; quando nei periodi di vacanze, o per una ricorrenza familiare, tornano nel loro Paese di origine, anche lì saranno considerati stranieri. Stranieri, perché il loro aspetto esteriore, non è consono alla cultura del posto, ma è occidentalizzato, stranieri, perché anche la loro forma mentis è completamente slegata dalla cultura del posto, stranieri anche perché il loro accento non è proprio uguale a quello parlato nel luogo, ed è proprio in questa serie di rifiuti, che entra in gioco un grave disagio e i giovani si interrogano: Chi sono? Sono italiano/a, sono Pakistana/o, sono indiana/o, sono Africana/o…? Perché ovunque andranno, si sentiranno sempre stranieri. Ecco perché alcuni giovani italiani, ma di colore, quando diventano giovani-adulti, molti cercano una posizione lavorativa altrove, possibilmente in un Paese dove la persona non viene giudicata per il suo colore della pelle, ma per tanti altri valori importanti che ci rendono gli uni diversi dagli altri, ma tutte persone e dove la differenza è un valore. Se guardiamo questa realtà da miopi, daremo sempre la colpa a qualcuno o a qualcosa, ma se guardiamo il problema da una visione più antropologica e con una visione più cristiana, dovremmo trovare una soluzione al problema, non si possono accettare nel terzo millennio queste discriminazioni, questa umana sofferenza, di giovani che per mano loro o per mano di chi non rispetta la legge, può decidere chi vive e chi muore.


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ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
Lockdown e disagio giovanile: gli hikikomori
di LEONARDO BUFFO docente nella Scuola Secondaria di I grado
In questa emergenza sanitaria, chi sta risentendo con maggior vigore dell’impatto sociale sono i più giovani, coloro che – tra l’isolamento forzato e il ricorso a una modalità didattica digitale, alle volte inadeguata – sono stati costretti a dover rivedere il loro stile di vita e il loro modo di relazionarsi dal punto di vista sociale.Sicuramente disagi, difficoltà e sofferenze hanno colpito tutte le fasce della popolazione, indubbiamente notizie di autolesionismo e/o tentativi di suicidio sono fenomeni che si sono da sempre registrati tra gli adolescenti, ma – di sicuro – non si può negare che il distanziamento sociale e l’interruzione di tutte quelle attività socializzanti e indirizzate all'integrazione e all'inclusione dei più giovani hanno comportato delle influenze negative sugli adolescenti aumentando conseguentemente quei disturbi di natura psicologico-comportamentale. Tra i molti disagi con cui le giovani generazioni hanno dovuto fare i conti in questo periodo, si segnala il rischio di un totale ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Questo fenomeno, noto come hikikomori, termine giapponese che significa "stare in disparte", e che interessa prevalentemente gli adolescenti, si riferisce a coloro i quali rinunciano a vivere nella società scegliendo di isolarsi dal mondo esterno restando, talvolta anche per alcuni anni, segregati all’interno della propria abitazione, escludendo ogni tipo di contatto diretto con il mondo esterno. Nel nostro paese l'attenzione verso questo fenomeno sta crescendo, infatti l’Italia oltre ai tristi primati legati alla situazione pandemica, si appresta a registrare un ulteriore record sconsolante: tra quelle occidentale, la nostra nazione risulta essere quella con il numero più alto di casi hikikomori. In questo disagio adattivo sociale, emerso dapprima in Giappone già sul finire degli anni ’90 del secolo scorso, l’unica interazione con il mondo esterno che l’hikikomori si concede avviene esclusivamente attraverso internet.   Diversi possono essere nei soggetti i motivi scatenanti il desiderio di sottrarsi all’identità pubblica e al contesto sociale fino a raggiungere il rifiuto della realtà stessa: un eccesso di sensibilità, delle difficoltà a instaurare solide relazioni interpersonali, l’essere vittima di bullismo con il conseguente rifiuto del mondo della scuola, la necessità di sfuggire alle pressioni sia per una realizzazione personale e sia per una maggiore attenzione dell’aspetto estetico. L’esagerata dipendenza da internet potrebbe essere annoverata come la principale causa di questo fenomeno, eppure contrariamente a quanto si possa pensare, questa eccessiva iperconnessione sarebbe invece una potenziale conseguenza dell'isolamento volontario. Nel fenomeno hikikomori, una maggior incidenza si registra tra i maschi, infatti, a livello sociale, è proprio a questi che viene continuamente richiesta una prova della propria virilità e non riuscire nelle prove, competizioni e scontri richiesti esclusivamente ai maschi, potrebbe comportare una mancanza di quelle aspettative di una realizzazione sociale e farebbe emergere quel senso di vergogna,


ART. 24 CCNL 2016 COMUNITÀ EDUCANTE
la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento
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in grado di far scaturire in questi soggetti più deboli la fuga dal mondo. Chiaramente non mancano le pressioni anche sulle adolescenti, ma le differenze sono di tipo qualitativo e le aspettative possono indurre reazioni disfunzionali diverse a seconda del sesso dei soggetti. Il lockdown ha acutizzato la solitudine in molti adolescenti rafforzando il fenomeno dell’isolamento, numerosi studi a livello mondiale stanno tentando di fornire stime più precise degli effetti che la pandemia da COVID-19 sta lasciando sulla popolazione in età scolare e molte preoccupazioni stanno emergendo soprattutto rispetto alla comparsa o al peggioramento di alcuni problemi di natura psicologica. Tutti coloro che si trovano nell’età adolescenziale, momento in cui si definisce più compiutamente la propria individualità e si inizia a pretendere una maggiore autonomia rispetto alla famiglia d’origine, questi giovani potrebbero non essere più abituati ai rapporti sociali dal vivo, mediando gli stessi all’uso di smartphone o di qualsiasi altro device. L’emergenza sanitaria, con tutte le norme atte a contenere i contagi, ha condotto all’inevitabile esclusione dello sviluppo dell’affettività, dei sentimenti e delle relazioni sociali reali inducendo gli adolescenti a non uscire dalla propria stanza per non esporre le proprie fragilità. La pandemia può aver provocato dei danni complessi, di sicuro il rischio maggiore è rappresentato dall’incapacità di riconoscere il problema: l’isolamento, che nasceva come misura contenitiva, si può trasformare in un isolamento volontario, come quello vissuto dagli hikikomori. Se risultano plausibili le preoccupazioni sulle nuove generazioni, con il lento ritorno ad una normalità agognata da tutti, si deve auspicare una maggiore attenzione da parte delle figure genitoriali affinché, vigilando sui comportamenti dei propri figli, siano in grado di individuare velocemente l’insorgere di disturbi psicologici. Diventa, allora, indispensabile l'auspicio che i dati reali siano più contenuti rispetto a quanto si stimi, ma soprattutto è obbligatorio l’augurio che dalla sinergia tra le diverse agenzie educative si possa correre ai ripari cercando di creare una rete psicologico-educativa che, spazzata via l'emergenza sanitaria, aiuti gli adolescenti a riprendere il loro sviluppo psico-sociale nel modo più sereno possibile educandoli a quei valori e a quei sentimenti umani positivi riconosciuti a livello universale.
hikikomori, letteralmente "stare in disparte", "staccarsi "; dalle parole hiku "spingere" e komoru "fuggire " è una persona che ha scelto di scappare fisicamente dalla vita sociale di persona, spesso cercando livelli finali di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura.


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
Un linguaggio comune nonostante gli ostacoli. di ANDREA ROBERT docente nella Scuola Secondaria di II grado
Nel mio ultimo articolo sul tema della cittadinanza digitale – pubblicato nel numero di aprile – ho scritto di una mia sensazione, quella del “doppio binario”. Più il tempo passa e più sento forte la sensazione che tra il mondo degli adulti e quello dei giovani ci sia un fossato: le difficoltà di comunicazione, di far comprendere il proprio pensiero, di aprirsi nei confronti dell’altro lo rendono profondo ma fortunatamente non invalicabile. In fin dei conti la sfida educativa, sempre uguale e sempre nuova, è proprio questa: riuscire a parlare un linguaggio comune nonostante tutte le differenze che spesso sono di ostacolo. Questa cosa ha ricadute in vari campi: nel caso di internet di cui parlavo un paio di mesi fa, ad esempio, questa differenza è lampante. Nel discorso scolastico noi adulti riduciamo internet al registro elettronico, a classroom, ai compiti inviati via mail e a tutte quelle cose “che usano loro”. Per gli adolescenti (ma penso anche per i pre-adolescenti) internet è molto di più e ne sanno molto di più di noi, eppure a scuola siamo noi che spieghiamo come usare delle cose che noi per primi non padroneggiamo. Mettendoci dal punto di vista di uno studente penso che la prima reazione sia quella della chiusura: che senso ha parlare con qualcuno che ha un atteggiamento di superiorità anche quando parla di cose che non conosce benissimo? Sia ben chiaro: non voglio sparare a zero contro la nostra categoria (mi ci metto dentro anche io per primo!), ma voglio solo provare a immaginare come si deve sentire un giovane in questa situazione. Noi adulti riconduciamo il tutto del discorso a una parte della realtà (col risultato del mancare l’obiettivo quando si dialoga), e allo stesso modo anche noi, quando sentiamo parlare i ragazzi, ci accorgiamo che hanno una loro prospettiva spesso molto diversa dalla nostra. Il problema, secondo me, è che in tutto questo l’adulto è – giustamente! – l’educatore e come tale è lui che dirige il discorso e detta i tempi dell’azione. Se però l’adolescente ha l’impressione ripetuta di questo “doppio binario” (la sua vita viaggia in un determinato modo, con particolari bisogni e/o richieste, e noi non riusciamo sempre ad accogliere queste domande) ecco emergere il problema del “disagio” giovanile. Dis-agio, cioè una condizione di scomodità, del non sentire l’ambiente circostante a misura di sé. Anche questa volta, proprio per evitare di ricadere nel doppio binario, ho chiesto a una mia alunna di indicare quegli ambiti che secondo lei esprimono questa realtà. Ha individuato un disagio dovuto al contesto famigliare e scolastico; le poche aspettative nei confronti del futuro (dal punto di vista lavorativo); una difficile interpretazione e accettazione del sé; un disagio relazionale con i pari (ad esempio tutto ciò che riguarda il bullismo) ed infine un disagio dovuto ai pregiudizi degli adulti verso i giovani. Due di queste sei dimensioni richiedono un esclusivo lavoro del soggetto: la domanda sul futuro e l’accettazione di se stessi non possono essere demandati ad altri. Le altre quattro sono questioni relazionali che in larga parte riguardano il mondo degli adulti: famiglia, scuola e pre-giudizi hanno a che fare con il mondo abitato dai ragazzi, con quel mondo nel quale trascorrono la stragrande maggioranza del loro tempo.


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2) I titoli rilasciati dall'ISSR come possono oggi essere spesi nell'ambito lavorativo ? Che riconoscibilità c'è           di questi titoli nell'ordinamento italiano ed europeo/internazionale ? 2)    Il titolo in Scienze religiose è ad oggi riconosciuto dallo Sato italiano come titolo universitario. Gli studi all’ISSR sono studi di livello universitario, con crediti formativi omologabili ai corsi di altre università e in parte sovrapponibili ad altre competenze. Attendiamo però dal MIUR indicazioni più precise su quale tipo di laurea rappresenta, quale ambito del sapere ricopre come titolo, anche in vista della partecipazione a qualche concorso: laurea in filosofia, in scienze dell’educazione, in psicologia...Il MIUR si è impegnato a dare una risposta a breve. In base al processo di Bologna, a cui partecipa il Vaticano, i titoli in scienze religiose e in teologia sono a tutti gli effetti lauree universitarie. Nel mondo tedesco e anglosassone hanno una loro identità e dignità e corrispondono a competenze universitarie riconosciute. Esistono nelle università statali corsi di teologia e/o di scienze delle religioni che abilitano a vari mestieri (come il ruolo di pastori in comunità religiose o docenti di religione o altro…). Anche in Spagna si è giunti al riconoscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrizione all'ISSR piuttosto che alla facoltà di Teologia ? Cosa contraddistingue lo    studio delle Scienze Religiose ? 3)    Gli ISSR nascono come formazione di una conoscenza critica della tradizione cristiana da mettere a confronto con le scienze delle religioni e quindi con altre ermeneutiche del fatto religioso (psicologia sociologia, filosofia) e con altre religioni (introduzione all’islam, all’ebraismo…). Invece le Facoltà teologiche vogliono formare teologi, esperti del sapere critico proprio della fede cristiana e quindi dedicati al logos della fede. In tal senso chiede di sapere ebraico, greco e latino, per leggere direttamente le fonti della fede e del sapere derivato (tradizione) a partire dai testi rivelati. Invece l’ISSR si pensa più proiettato nel confronto col pluralismo religioso che caratterizza le nostre società. Di fatto, nella sistemazione del nostro piano di studi, abbiamo deciso a Milano di condividere nel triennio uno studio esteso del sapere critico della fede come via per provare un percorso di conoscenza critica e ragionevole dell’esperienza religiosa cristiana a cui appartiene la nostra storia, per specializzarsi nel biennio in un confronto con altre ermeneutiche del religioso e altre religioni. E’ chiaro che il mutamento epocale che viviamo chiederebbe di rivedere lo spazio dato allo studio delle religioni e alla fenomenologia del religioso, dotandosi di nuovi approcci al fenomeno religioso in base all’organizzazione del sapere di livello universitario (antropologia culturale, studio dei sistemi simbolici, nesso arte e esperienza religiosa, archeologia e storia delle religioni…). Lo strumento di accesso al fenomeno religioso non può essere più semplicemente un certo tipo di razionalità teologica (intracristiana) o una certa filosofia (occidentale)… come dice la nozione tutta nostra di “religione”. Ma si tratta di una sfida culturale di vasta portata, che lasciamo alle giovani e promettenti generazioni.4) L'ISSR di Milano, fondato nel 1961 dall' arcivescovo cardinale G.B.Montini, si avvia a festeggiare il 60° anno di attività. Quali sono i suoi punti di forza ? 4)    L’ISSR di Milano ha una lunga storia, molto istruttiva, fatta di tante variazioni di piano di studio, di coinvolgimento di docenti e competenze, di numero di alunni… Non è qui il luogo per rileggerla, ma certo è stata una storia ricca e travagliata. Oggi la risorsa più bella è quella di avere un gruppo di docenti appassionati e qualificati, che possano offrire un percorso formativo all’altezza della sfida dei tempi. E’ un sogni di molti ISSR: avere non solo un forte indirizzo pedagogico-didattico finalizzato all’IRC, ma anche indirizzi pastorali ministeriali, artistico-culturali o di cura spirituale del malato che possano formare competenze religioso-spirituali capaci di assumere compiti in vari ambiti di impegno nel nostro contesto pluralista: si pensi alla mediazione culturale e religiosa di altre etnie e religioni presenti sul territorio, all’accompagnamento di malati di altre religioni, al discernimento dei nuovi fenomeni religiosi (sette, magia…). Resta prezioso il servizio a tanti uditori di tutte le età che con passione ammirevole chiedono di approfondire la propria fede o tradizione religiosa. Ma bisogna dotarsi di strumenti per fronteggiare nuove sfide legate alla nostra cultura.
La scuola è sicuramente una delle dimensioni più importanti nella loro vita: può essere vissuta in modo positivo o in modo negativo, ma in ogni caso lascia un segno. Mi viene da chiudere questa brevissima riflessione con una proposta: il doppio binario c’è e ci sarà sempre perché la sfida educativa è proprio questa, ma c’è un atteggiamento che secondo me è sottovalutato. “Educare” significa “tirare fuori”: l’azione educativa è proprio questo “tirare fuori” la parte buona di sé ed è per questo che il ruolo dell’adulto educatore è fondamentale. Ha sicuramente una parte attiva, fatta di lavoro, di incoraggiamento e di proposte: richiede però anche la collaborazione dell’altra persona, che deve accettare di “farsi tirare fuori” questa sua parte. È una relazione non a senso unico, e in tutto questo penso che l’ascolto – inteso come atteggiamento di fondo fatto di attenzione e di disponibilità – sia fondamentale. Anche e forse soprattutto per andare incontro a quel disagio, a quella “scomodità” che il giovane sente nella relazione con gli altri e con gli adulti. Come insegnanti – e forse soprattutto come insegnanti di religione – anche qui abbiamo la nostra bella parte da fare. Dopotutto anche Christoph Theobald, un teologo francese autore di parecchi trattati, parla di Gesù come del “pedagogo” e del “traghettatore”…


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Il disagio giovanile attraverso tre film senza tempo di RICCARDO SCIANNIMANICO Laureando in in media management UniCatt.
Il disagio giovanile è un tema molto caro agli scrittori e ai cineasti di tutto il mondo. Attraverso i secoli, sono numerose le opere che trattano tale tema, mostrando come esso continui a reiterarsi in una formula sempre uguale. Ecco perché ho deciso di scegliere tre film iconici appartenenti agli anni Cinquanta, usciti in un particolare decennio in cui, dopo essere andati a morire in guerra, i giovani provavano una forte sfiducia nel futuro, che sembra reiterarsi tuttora, nonostante i tempi siano cambiati. Pur non paragonando il nostro periodo ai tragici anni post-bellici, è indubbio che la pandemia e il coatto confinamento a casa abbiano agevolato una situazione di disagio, anche unitamente alla scarsa considerazione da parte del governo nei confronti delle scuole e dei giovani. Passiamo ai tre titoli.
Il selvaggio (László Benedek, 1953) racconta le peripezie di Johnny Strabler (Marlon Brando), il capo di una banda di motociclisti senza meta, nella piccola e tranquilla cittadina di Wrightsville. L’indole caotica e rozza dei giovani viene a scontrarsi e a collidere con quella autoriale e tradizionale dei più anziani.
Gioventù bruciata (Nicholas Ray, 1955) parla di Jim Stark (James Dean), un diciassettenne la cui vita è segnata dall’incomunicabilità con i genitori e dallo scontro con la banda del teppista Buzz (Corey Allen).


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Non solo i protagonisti, ma anche altri personaggi dei tre film versano in una chiara condizione di disagio. Prima di tutto, sono tutti figli di genitori assenti, apatici, indifferenti, violenti o fin troppo accondiscendenti. Stessa caratterizzazione anche le forze dell’ordine, quasi sempre del tutto incapaci all’ascolto o addirittura indifferenti nei confronti dei giovani che chiedono il loro aiuto, spesso mascherando il mancato supporto dalla condotta indisciplinata dei ragazzi. Frequenti sono, infatti, espressioni di generalizzazione nei confronti dei giovani, nonché conclusioni superficiali sui motivi del loro comportamento. La mancanza totale di una guida o l’incapacità della stessa di fornire un insegnamento concreto ai valori positivi della vita è sicuramente il motivo più importante per il disagio dei giovani, che si sentono abbandonati a se stessi e in balia di un futuro incerto. Considerando, inoltre, che il futuro è un semplice lascito delle precedenti generazioni a quelle nuove, appare evidente l’importanza di una condotta responsabile e corretta da parte degli adulti in relazione ai più piccoli. Ciò non significa chiaramente che sia solo colpa degli adulti: tutti e tre i film mirano a condannare anche le scelte sbagliate dei giovani, spesso mossi da una ribellione ingiustificata, criminale e ingiusto. In una situazione di disagio è altamente probabile che i ragazzi si diano a commettere atti criminali anche piccoli, oppure tendano a emanciparsi mostrandosi forti agli occhi delle altre persone appartenenti allo stesso contesto sociale. Se però è evidente che essi conoscano bene il discrimine tra il bene e il male, scegliendo consapevolmente il secondo per soddisfare il proprio desiderio di ribellione, è necessario considerare anche che i giovani non conoscano i benefici che possa portare fare del bene. Laddove le istituzioni arrivano troppo tardi, è possibile potenziare l’educazione civica e l’IRC per permettere ai giovani di comprendere le reali ragioni del loro disagio. Entrambe le discipline potrebbero fornire gli strumenti per una ribellione “in nome del bene”, che non si consumi in fumo, acconciature ribelli e crimini minori, ma in carità, amore verso il prossimo e ascolto. Abbiamo menzionato la pandemia. Lo Stato sta ora pianificando via via una ripartenza per ogni tipo di attività. È tempo di uscire dal disagio, è tempo di costruire. Servono discipline finora sottovalutate in grado di guidare i più giovani, gli unici veri artefici del cambiamento del futuro, a ripartire e a ricostruire. Dopo un anno di confinamento, ora più che mai tutti noi abbiamo il desiderio di ribellione e rivoluzione, ma senza gli strumenti adeguati si rischia di non raggiungere alcun risultato concreto, o addirittura di peggiorare la situazione. Non bisogna perdere altro tempo, l’educazione civica e l’IRC sono i due strumenti facilmente implementabili in grado di inserirsi nel ritorno all’attività e fare da guida per la ripartenza. Il rischio, l’abbiamo visto, è molto alto: durante il nuovo lockdown ondate di falsi indignati hanno messo a ferro e fuoco le varie città, saccheggiando negozi, deturpando monumenti cittadini e vessando attività innocenti. Esempio quanto mai concreto di una rivoluzione animata da ideali falsi o mancanti. IRC e educazione civica possono chiaramente evitare che tutto ciò accada di nuovo.
I quattrocento colpi (François Truffaut, 1959), tra i capolavori della Nouvelle Vague, narra di Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud), ragazzino incompreso ed emarginato dalla famiglia stessa, e dei suoi tentativi di farsi strada nel mondo, che lo condurranno nei guai.


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Intrecci di vita e radici del disagiodi MARCELLO GIULIANOdocente nella Scuola Primaria
‘Disagio’ e sintomo. Mentre la psicologia, nelle diverse scuole, si rende conto che il disagio non consiste delle sue manifestazioni, dipendenze, violenza, bullismo, o in patologie alimentari, bulimia o anoressia, spesso si pensa che, essendo i sintomi disturbanti e gravi, essi ed il disagio sottostante siano il problema da vincere. Viceversa, i sintomi ed il disagio sono la chiave. Il sintomo è come la febbre, una prima risposta dell’organismo a ciò che lo attacca e, salvo raggiungesse limiti insopportabili per la vita, deve essere tollerata, ‘ascoltata’. Nel caso di disfunzioni comportamentali e patologiche, anche se fosse necessario contenerle per il bene sociale e della persona, pure bisognerebbe tollerarle, accoglierle, accompagnando la persona ad un discernimento profondo, ricercando il significato del disagio provato, pur senza riuscire immediatamente a dargli un nome.
L'Uomo Universale, dal Liber Divinorum Operum, folio 9, XIII secolo (Biblioteca statale di Lucca)
‘Nominare’ il disagio. Il disagio, al di là dell’età di una persona, è posto non nei comportamenti o patologie disturbanti, ma nell’anima e nella relazione che essa ha con la conoscenza di sé, il mondo, la vita. Per anima possiamo intendere sia il mondo interiore più profondo, religiosamente e filosoficamente inteso, che il mondo interno, non solo la mente. La mente è la  parte raziocinante dell’anima e non la sua totalità, come scrive lo psicoanalista Franco Fornari in ‘La riscoperta dell’anima, Laterza, Febbraio 1984, 180ss.’. Lavorando con tossicodipendenti e genitori nei percorsi di risalita dalla dispersione esistenziale disturbante, attraverso gruppi e colloqui di ascolto dei sintomi, del ricordo di situazioni, emozioni e pensieri, potei più volte riscontrare la risalita a quelle tre condizioni: ‘sé’, il ‘mondo’, la ‘vita’. Sovente, il giovane coglieva di essere in una condizione di ‘non-agio’, nominandola.   ‘Agio’ deriva dal provenzale ‘aisier’, ‘provvedere’, ‘avere cura’. Al contrario ‘dis-agio’ significherà ‘non prendersi cura’. Si ha cura dell’anima, come l’anima, se consapevole, ha cura di noi. Indugiare nell’anima, in relazioni senzienti, consente di individuare la natura del disagio, sempre la stessa, benché declinata in biografie diverse.


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Quale disagio. Ordinariamente, esso consiste nell’aver attribuito ad un bene relativo un valore sproporzionato. I poeti, indagando l’anima, ci offrono significativo aiuto. Così è per Dante o per Leopardi, citando nomi a tutti noti. Dante scrive: “E sì come peregrino che va per una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede crede che sia l’albergo, e non trovando ciò essere, dirizza la credenza a l’altra, e così di casa in casa, tanto che a l’albergo viene; così l’anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene, crede che sia esso … che è Dio, quasi base di tutti …” (Convivio IV, XII 15-17). Infatti, i beni minori precedono i maggiori e li oscurano. Inseguendo i minori, perdiamo di vista gli altri con nostro danno, così da non essere più in ‘agio’. Si crede che cose infime siano supreme. Se siamo fatti a immagine di Dio e ci volgiamo a beni minori, nell’intimo inizia una sofferenza perché senza saperlo vogliamo mutarci in una ‘non –immagine’ divina.  Il ‘disagio’ e il ‘de-siderio’. Questo è il ‘dis-agio’: il grido dell’aspirazione profonda dell’uomo a fronte di una valutazione erronea, passionale, incontrollata di sé nel mondo e nella vita e che non si accontenta di essere questo perché aspira a ben altro! E i segni del ‘dis-agio’, con tutti i loro dolorosi disturbi, lo gridano. Sono il de-siderio dell’origine non più soffocato, la mancanza delle stelle. Ma se Dante non ci sembrasse laico, ecco il ‘materialista’ Leopardi. Così scrive:
David Friedrich Caspar, L’uomo nella nebbia, 1818, Hamburger Kunsthalle, Amburgo
“… il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir cosí, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacitá dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora piú grande che siì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullitá, e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltá, che si vegga della natura umana. Perciò la ‘noia’ è poco nota agli uomini di nessun momento” (Zibaldone, LXVIII).Tutte le cose sono ‘insufficienti’, una ‘nullità’, ‘vuoto’, ‘noia’. Essa è segno di grandezza. I sintomi del disagio vogliono rispondere alla noia esistenziale, ma non vi riescono. Se si ha fiducia nella ‘noia’, oltre i sintomi, oltre il ‘dis-agio’, si potrà dare nome al ‘vuoto’. Solo gli uomini di ‘nessun momento’ non riconoscerebbero la salvezza della ‘noia-dis-agio’: fatica necessaria.


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Oramai da quattro anni nel nostro Istituto “L. Lotto” di Trescore Balneario (BG) ha preso corpo un progetto intitolato Mentoring: questa esigenza di seguire gli allievi più fragili non catalogabili in particolari categorie (BES DSA DA) già da anni era patrimonio del sentire comune. Grazie all’intuizione di alcuni colleghi (in particolare la Prof.ssa Zelinda Forcella) il progetto si è venuto strutturando sempre più e si sono evoluti scopi ed obiettivi dell’agire. La supervisione di specialisti esterni alla scuola ci ha aiutato a prendere coscienza dei limiti e delle possibilità di questo strumento: l’autoformazione e la condivisione dei vissuti hanno fatto il resto. La pandemia ha fatto “esplodere” le situazioni critiche e le fragilità si sono mostrate con più evidenza. Lla consapevolezza di non essere “Operatori Professionali” del disagio ci ha aiutato a definire meglio ambiti e ruoli e la filiera di attivazione del progetto stesso. In questi anni, accanto a forme  più spontanee di intervento, si è venuto formando un gruppo di docenti di varie discipline che hanno collaborato con i Consigli di classe nel seguire i casi segnalati: fondamentale è stata la supervisione di uno psicologo che ci ha aiutato a fare chiarezza e a comprendere il preciso mandato dell’intervento. Molti dei ragazzi che sono stati seguiti hanno tratto beneficio in termini di chiarezza e di consapevolezza: tutti hanno ricevuto una attenzione in più che ha dimostrato come la scuola si prenda cura di loro. La presenza di colleghi preparati dal punto di vista psicologico ci ha aiutato a limitare l’intervento ad una supervisione ed accompagnamento di tipo esistenziale e motivazionale: i casi più problematici sono stati segnalati anche ai servizi del Territorio. Restano ancora numerosi margini di miglioramento, soprattutto nel rapporto coi colleghi dei Consigli di classe: è difficile sradicare il pregiudizio che la scuola si debba occupare solo di “insegnare”. Sicuramente, si è creato un clima di maggiore attenzione e fiducia tra colleghi e, nonostante le difficoltà del momento attuale, anche famiglie e ragazzi hanno potuto beneficiare del servizio stesso. Un ruolo insostituibile è stato svolto dalla Dirigente Scolastica che ha sempre creduto nel progetto e lo ha fortemente voluto e difeso nei momenti più critici. La collaborazione con le altre figure della scuola (Insegnanti dello Sportello di Ascolto psicologico, docenti che seguono le problematiche dei BES, DSA e DA, docenti che si occupano di orientamento e riorientamento e dell’accoglienza degli alunni NAI) è divenuta sempre più stretta e costruttiva, aiutando il progetto ad inserirsi in un sistema di rete. L’auspicio per il prossimo anno è che sempre più docenti si sentano parte del progetto anche semplicemente con uno spirito di collaborazione e non di delega.
Giorgio Marcobelli,  è docente di religione cattolica di ruolo presso l'Istituto Superiore "L. Lotto" di Trescore Balneario, provincia e diocesi di Bergamo.
Progetto "Mentoring"... un aiuto ai più fragilidi GIORGIO MARCOBELLIDocente nella Scuola Secondaria di II grado


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POLITICA SINDACALEIdR precari: c’è indifferenza da parte del Ministero dell’Istruzione?
Patrizio Bianchi ai dialoghi Italo-Francesi: “occorre un investimento massiccio per l’istruzione”, ma per i docenti di religione, che sono a costo zero, investimento dello Stato già in atto, nessuna presa di posizione.- Così, il Responsabile Nazionale UIL Scuola IRC, Giuseppe Favilla, commenta le parole del ministro Bianchi. Considerare la realtà dell’istruzione non è solo porre mano alla questione contrattuale e, nello specifico, alla risoluzione del precariato di religione, è vero, ma è altrettanto vero che la vera scuola, che la buona scuola, di renziana memoria, si fonda su buoni insegnanti; si sviluppa grazie all’investimento sulla professionalità dei docenti  maturata nel corso degli anni! Un governo, o per meglio dire, un ministro che riceve una lunga lettera da parte del sindacato e non risponde adeguatamente, anzi, nel caso dei docenti di religione, non risponde affatto, ci sembra che celi alla base qualcosa di più della semplice indifferenza, traspare una volontà specifica di non dare una risposta.  Lo scorso 18 maggio scrivevamo al Ministro Bianchi e ai presidenti delle Commissioni Istruzione della Camera e del Senato riguardo la condizione dei docenti precari e dei docenti di religione precari. Nella stessa evidenziavamo con i numeri alla mano la condizione di precariato in cui versano gli IdR e le possibili soluzioni, formulando una richiesta specifica, cioè di prevedere un Decreto Legge ad hoc per la risoluzione del precariato degli IdR. A quella lettera, come a tutte le richieste presentate anche unitariamente alle altre sigle rappresentative, nessuna risposta è giunta, come se il problema non sussistesse e come se tutto andasse bene. La cosa assurda in questa vicenda è che mai, come negli ultimi anni, si è avuta tanta attenzione per il precariato di religione da parte delle forze sindacali,così come da parte delle forze politiche che non hanno perso occasione per proporre emendamenti a favore della categoria. Tutte le OO.SS., sia rappresentative che non, hanno accesso un riflettore e continuano a tenerlo accesso in ogni occasione di incontro con l’Amministrazione, ultimi in ordine temporale gli incontri del 2 e 7 luglio, nei quali abbiamo ribadito la necessità di una presa di posizione da parte del Ministero.  Oggi siamo ancora in attesa di una decisione che stenta ad arrivare per 13000 mila over 36 mesi, ad eccezione di una piccola porzione di docenti idonei del 2004 che anche quest’anno sarà assunta a tempo indeterminato dal 1 settembre. 15000 professionisti e professioniste, un esercito di persone già arruolate e pagate come i docenti di ruolo che puntualmente da oltre vent’anni prendono servizio il primo settembre ma a cui viene negata una stabilità lavorativa vera, seria e concreta: un contratto a tempo indeterminato! Ma qual è il vero motivo di tanta indifferenza da parte del Ministero? Si domanda Favilla. Il motivo sembra nascosto proprio nel non voler recepire fino in fondo il Concordato e la successiva legge 186 del 2003 che ha regolamentato l’assunzione dei docenti di religione. Lo Stato si è impegnato attraverso il Concordato a garantire l’Insegnamento dell’IRC nelle scuole di ogni ordine e grado, ma allo stesso tempo, lo stesso Stato prima emana una legge per la loro stabilizzazione e poi nega  nei fatti a 15000 docenti incaricati annuali un diritto fondamentale qual è il contratto a tempo indeterminato. “Siamo stanchi”, conclude Favilla,” il Ministro ha il dovere morale ed istituzionale di rispondere alla nostra lettera del 18 maggio scorso; ha il dovere morale ed istituzionale di incontrare le forze sindacali e rassicurare che si sta lavorando per risolvere con un procedura ad hoc, nel rispetto della professionalità acquisita da ciascun docente, l’ignobile e cronica condizione precaria degli IdR! Vogliamo fatti e parole da parte del Ministero, fatti che vadano verso la giusta risoluzione della problematica. Il Ministro o chi per lui non abbia timore di prendere contatti anche con la Conferenza Episcopale Italiana e il Servizio Nazionale per l’IRC, di certo troverà interlocutori che rassicureranno Ministro e Governo che la scelta giusta oggi, dopo 17 anni dall’ultimo concorso, è l’assunzione attraverso una procedura straordinaria e non selettiva degli IdR. Che si formino poi graduatorie a scorrimento fino al loro totale svuotamento. Basta indifferenza, basta ingiustizia, vogliamo solo una risposta che rispetti la dignità di tutti e di ciascun docente di religione cattolica!”


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Prevenzione al bullismo e cyberbullismo  intervista al prof. Gino Fanelli, fondatore della Onlus Helpis.di ELENA SANTAGOSTINIdocente nella Scuola Primaria
“Avete inteso che fu detto agli antichi: «Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio». Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: «stupido», sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «pazzo», sarà sottoposto al fuoco della Geenna”. (Mt 5, 21-22) Queste affermazioni evangeliche colgono nel segno le potenzialità negative delle parole e delle offese; duemila anni dopo, ci ritroviamo a parlare di prevenzione al bullismo e cyberbullismo con Gino Fanelli, fondatore della Onlus Helpis, il cui proposito è contrastare il disagio adolescenziale in tutte le sue forme. Per tale impegno, Fanelli è stato insignito, dagli Stati Generali delle Donne, del titolo di “Uomo Illuminato”, la cerimonia si è svolta il primo dicembre 2018, presso l’Università di Pavia.
1. Dottor Fanelli, dopo anni di lavoro nel settore economico – finanziario, cosa ha portato ad attuare un simile cambiamento professionale e personale? Negli ultimi anni, nell’ambito del mio lavoro, mi ero occupato di formazione per adulti e successivamente della fascia d’età 14-18 anni, così, riscontrando una buona comunicazione con gli adolescenti, ho deciso con mia moglie nel 2005 di fare concretamente qualcosa per i ragazzi. Abbiamo avuto l’idea il 2 settembre 2005, sant’Elpidio, a cui ci siamo ispirati: “Elpis” in greco significa proprio “speranza”, aggiungendo l’H iniziale si rimanda anche all’inglese “Help”, aiuto; questi due termini sono infatti i cardini del nostro operato. L’11 novembre 2005 nasce ufficialmente Helpis che ha appena compiuto quindici anni, per festeggiarne il traguardo si è realizzato, in collaborazione con l’azienda milanese PLV Milano, il bracciale giallo contro il bullismo, al quale è appeso un grammo di bronzo, che simboleggia un grammo di rispetto: chi lo indossa diventa così “ambasciatore contro il bullismo” ed acquistandolo, si devolve un contributo ai progetti di Helpis. 2. Un altro segno visibile e concreto del vostro operato sono le panchine gialle che si posano in tutta la penisola, a che quota si è arrivati?Le panchine, patrocinate dal Ministero degli Interni, al momento sono diciassette in sette regioni d’Italia, maggiormente al Nord, poi quattro in Campania e una in Emilia-Romagna. 3. Veniamo ora concretamente al suo operato: cosa ci può dire del “metodo Fanelli”?Io lo definisco “Bottom up”: dal basso in alto, al contrario. Non do nozioni tecniche, entro in una classe cercando di essere il più “neutro” possibile e osservo, lascio parlare i ragazzi, creando un ambiente favorevole in cui i soggetti si sentono liberi e sicuri; li faccio letteralmente sfogare per comprendere le dinamiche del gruppo. È importante questo momento di apparente caos, perché mi consente di capire se si verificano fenomeni di prevaricazione o di timidezza e nel caso si interviene: affronto il cosiddetto “bullo”, magari con un iniziale scontro di idee, ma sempre facendolo sentire accolto, lo porto ad un ragionamento che lui stesso compie, guidandolo attraverso un percorso mentale per lui nuovo, poiché ho precedentemente scardinato le sue certezze. L’operato è faticoso, ma nel momento in cui, il soggetto si sente accol-


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to e si fida, il risultato è assicurato. D’altro canto, mi pongo accanto alla “vittima di bullismo” che non va mai lasciata sola, minimizzando la situazione: non propongo una soluzione preconfezionata, perché ogni caso è a sé ed ogni persona è un microcosmo, ma la porto a svolgere un percorso che faccia acquisire sicurezza e forza. Io invito innanzitutto ad aprirsi ed a sperimentazione di alcune strategie, non do mai certezze: “PROVA a comportarti in un certo modo... Dimmi come ti senti quando operi così… Dimmi cosa accade… ” Successivamente si verifica se continuare o cambiare modus operandi, ma il soggetto attivo è sempre il ragazzo che progressivamente impara a trasformare in punto di forza le proprie debolezze. Stesso sostegno viene offerto agli insegnati nella gestione del gruppo classe: io mi pongo come un aiuto, un facilitatore, un alleato con cui confrontarsi serenamente e propongo strategie sempre da sperimentare e perfezionare ad hoc.4. Negli ultimi anni i suoi interventi si indirizzano anche nelle ultime classi della Scuola Primaria, come calibra il suo operato su quelli che sono ancora dei bambini?In effetti l’età si è abbassata, anche perché sempre più precocemente i bambini vengono dotati di cellulari e di tutto ciò che ne consegue; quest’anno scolastico il 55% dei miei interventi è stato dedicato alle ultime classi della Scuola Primaria (IV e V) e si deve sottolineare che prima si interviene, maggiore è l’efficacia. Per tale fascia di età ho predisposto il progetto “quasi blu”: non nomino mai il termine “bullismo”, ma svolgo un lavoro di conoscenza di se stessi: focalizzo l’attenzione sulla comprensione e sulla gestione delle emozioni, sul legame inscindibile causa-effetto partendo da fatti concretamente avvenuti nel gruppo classe; ci si concentra sull’empatia e sull’immedesimazione nell’altro. Successivamente si forniscono spunti e materiali, affinché ognuno possa serenamente autovalutarsi per far tesoro dei punti di forza e lavorare efficacemente sulle debolezze che sempre, se affrontate con strategie mirate, si rivelano delle ricchezze.
GINO FANELLI Nasce a Milano nel 1968. Sposato, 2 figli e nonno di una nipotina .Dopo un lungo percorso nei settori della formazione, dell’economia e finanza e dell’informatica, approda nel 2005 nel mondo del sociale. Formatore e docente freelance, si dedica con passione a contrastare il disagio adolescenziale in tutte le sue forme attraverso un servizio di supporto online per gli adolescenti. Nel 2014 ha ideato e promosso la campagna #NoCyberBully contro il bullismo eil cyberbullismo nelle scuole. www.nocyberbully.it


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Un anno... tra desideri e progetti: agorà irc e uil scuola irc di GIUSEPPE FAVILLAResponsabile Nazionale UIL Scuola IRC
È trascorso un anno dal momento in cui il desiderio di cambiare e di realizzare un nuovo progetto per i docenti di religione ha preso il via. Non è stato un periodo facile; non è stato nemmeno il periodo migliore per qualsiasi forma di cambiamento! In primo luogo la crisi pandemica ha limitato qualsiasi incontro personale, se non nell’ultimo mese e mezzo, ma come per ogni nuovo progetto non solo bisogna rispondere all’invito ma poi bisogna adoperarsi affinché si realizzi quanto desiderato e sperato e soprattutto progettato. Il 15 luglio, per chi vi scrive, rappresenta un punto di svolta e di rottura. La svolta è arrivata, la rottura con il passato ha stentato ad arrivare, non tanto dal punto di vista personale, bensì nell’immagine collettivo e più che altro social... oggi il passato è una terra straniera, conosciuta ma comunque straniera.
Alcune tappe della nostra breve storia come come UIL Scuola IRC:
Dal 15/07/2021 al 20/10/2021 Si sviluppa il primo coordinamento regionale in LombardiaDal 21/10/2021 al 13/01/2021 Prima strutturazione del coordinamento nazionale e nomina del coordinatore (Consiglio Nazionale 13/01/2021);-Nasce la rivista totalmente digitale “Agorà IRC”. Rivista di approfondimento professionale e culturare. Attivazione del sito www.agorairc.it. La rivista conta 14 redattori stabili. Dal 14/01/2021 al 29/04/2021 attività sindacale a livello nazionale:-Assemblea Sindacale del 22 gennaio 2021 con la partecipazione del Segretario Generale Pino Turi e i segretari generali regionali.-Partecipazione agli incontri in Ministero che hanno come oggetto i docenti di religione.-Incontri informativi con la partecipazione della Segreteria Nazionale UIL Scuola-Partecipazione agli incontri tra i sindacati rappresentativi per le questioni relative agli IdR,-Nascita delle rubriche online di informazione sindacale, di politica scolastica in generale e di approfondimento professionale. Abbiamo trasmesso per oltre 120 ore e innumerevoli ospiti che ringraziamo tutti e ciascuno di loro per la loro gradevole partecipazione.-Distribuzione periodica nelle scuole di “UIL Scuola IRC Informa”.-Attivazione della versione beta del sito istituzionale www.uilscuolairc.it. Il 29/04/2021 Il Consiglio Nazionale dà mandato alla Segreteria Nazionale di costituire il Dipartimento Autonomo UIL Scuola IRC. La relativa organizzazione interna è in fase di definizione nei regolamenti e nello Statuto della UIL Scuola. Il nostro desiderio è di diventare il punto di riferimento giuridico-contrattuale di tutti i


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docenti di religione, siamo presenti in tutte le regioni e province e nei prossimi mesi daremo comunicazione precisa dei riferenti IdR territoriali a cui rivolgersi direttamente per un primo contatto o consulto.I docenti di religione hanno una precisa identità da attenzionare, valorizzare, tutelare e promuovere. La loro presenza è costituzionalmente garantita nell'ordinamento scolastico italiano e, per la loro peculiare natura giuridica, devono trovare un luogo sindacale in cui trovare risposte certe, una mano accogliente, uno sguardo amico e nella UIL Scuola IRC tutto ciò è possibile perché abbiamo a cuore i rapporti diretti con i nostri iscritti e come Dipartimento siamo pronti a raggiungerli direttamente lì dove svolgono la loro professionalità, nella Comunità Educante, nella Scuola tra la gente della scuola.
Il Dipartimento rappresenta per tutti i docenti di religione iscritti alla UIL Scuola un punto di riferimento ben definito per tutte le problematiche di natura giuridica, contrattuale e di politica sindacale in generale. Offriamo come dipartimento i seguenti servizi diretti:Consulenza giuridica e sullo stato giuridico, determinato o indeterminato;Servizio “scatti biennali” – “ricostruzione di carriera” – “progressione di carriera” – “recupero pre ruolo” – “controlli stipendiali” email: ricostruzioni@uilscuolairc.itServizio riconoscimento Titoli Pontifici: servizi@uilscuolairc.it Per qualsiasi informazione è sufficiente rivolgersi al numero verde unico nazionale 800820776 oppure al n. 0697804753 o scrivere a info@uilscuolairc.itPer tutti i servizi di CAF e Patronato, 730, ISEE e pratiche di varia natura la UIL è presente su tutto il territorio nazionale nel supporto a tutti i cittadini e dunque anche ai docenti di religione. Invitiamo tutti i colleghi di religione a costruire insieme il futuro della comunità uil scuola irc aderendo al nostro sindacato. www.uilscuolairc.it/iscriviti


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Dignità ai docenti di religione La nostra campagna social facebook.
Il precariato dei docenti di religione cattolica si attesta mediamente al 55% con punte in alcune regioni del 73%. È la nostra campagna social a favore dei docenti di religione. Incrociamo le braccia in segno di protesta, quando viene lesa la dignità del lavoratore specialmente dopo molti anni di precariato non possiamo non difendere e non sostenerlo nella sua dignità. L’immagine in bianco e nero per sottolineare l’ingiustizia e il tentativo di oscurare il nostro lavoro nella scuola al servizio della Comunità Educante. La nostra campagna è trasversale, chiediamo a tutti, colleghi di religione e di altre discipline, associazioni professionali, studenti (maggiorenni), professionisti, ecclesiastici, genitori… tutti possono sostenerci! SOSTIENI LA NOSTRA LOTTA AGGIUNGI ALLA TUA IMMAGINE DEL PROFILO, SE SEI UN UOMO http://www.facebook.com/profilepicframes/?selected_overlay_id=1664700283733162 ; SE SEI UNA DONNA http://www.facebook.com/profilepicframes/?selected_overlay_id=513026700062799
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